Cos’è la fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale è la più comune aritmia cardiaca.
Essa si genera negli atrii e provoca la perdita della regolarità del ritmo cardiaco.
Gli atrii sono attivati con una frequenza di 400/600 al minuto, una grande accelerazione elettrica che non produce più alcuna contrazione: al loro interno il sangue tende a ristagnare e coagulare.
I ventricoli vengono attivati in maniera irregolare e spesso accelerata riducendo l’efficienza della loro azione di pompa idraulica che spinge il sangue nel sistema circolatorio.
Le conseguenze di questa aritmia sono quindi la percezione da parte del paziente di un battito accelerato e irregolare, la riduzione dell’efficienza del sistema cardiovascolare di grado variabile fino allo scompenso cardiaco e il rischio di tromboembolie e di ictus cerebrale.
Come si fa la diagnosi ?
La diagnosi della fibrillazione atriale si fa con l’elettrocardiogramma: in corso di fibrillazione atriale le onde P ritmiche che caratterizzano il ritmo sinusale scompaiono e vengono sostituite dalle onde F, irregolari con una frequenza molto elevata ( 400-600 bpm).
I cicli cardiaci caratterizzati dai complessi QRS diventano rapidi ed irregolari.
Per effettuare la diagnosi è necessario registrare l’elettrocardiogramma durante il verificarsi della fibrillazione atriale.
Poichè questa può essere intermittente è necessario spesso utilizzare sistemi di registrazione elettrocardiografica di lunga durata che possano cogliere l’aritmia quando questa si manifesta. Si parla in questi casi di holter della durata da 24 ore fino a 30 giorni.
Esistono inoltre dei dispositivi impiantabili sottocute in grado di registrare il tracciato elettrocardiografico in caso di insorgenza dell’aritmia anche asintomatica e di trasmetterlo via internet al centro cardiologico di riferimento.
Oggi sono disponibili dispositivi di registrazione elettrocardiografica inseriti in smart watch, piccoli registratori esterni che funzionano in maniera analoga.
Quale diffusione ha la fibrillazione atriale?
In Italia, secondo i dati dell’ISS, la fibrillazione atriale riguarda circa lo 1-2% della popolazione: dati in linea con quelli del mondo occidentale. La sua incidenza aumenta con l’età .
In Italia 8,1% degli ultra 65 anni è affetto da fibrillazione per un totale di circa un milione di persone.
Le stime demografiche Eurostat prevedono un raddoppio della prevalenza per il 2060 a circa due milioni di casi.
È quindi una malattia estremamente diffusa, una delle cause più frequenti di accesso in pronto soccorso e con un impatto economico-sanitario molto elevato destinato ad aumentare ancora con il progressivo aumento della popolazione anziana.
Chi viene colpito?
Sebbene questo disturbo possa insorgere in soggetti privi di cardiopatia e di altre condizioni patologiche (fibrillazione atriale isolata), esso è spesso associato a situazioni patologiche cardiache od extracardiache che ne facilitano l’insorgenza provocando una alterazione del substrato elettrico atriale.
Tutte le cardiopatie ad origine valvolare, ischemica, degenerativa, infiammatoria, genetica ed idiopatica possono costituire un fattore di rischio per l’insorgenza di fibrillazione atriale.
Inoltre l’età avanzata, l’obesità, il diabete, l’ipertensione, le malattie polmonari, le apnee notturne, l’ipertiroidismo sono associati significativamente ad un maggior rischio di insorgenza.
Come evolve e come si classifica?
La fibrillazione atriale ha un andamento ingravescente nel tempo.
Inizia quasi sempre in forma intermittente: gli episodi inizialmente sono rari e di breve durata. Si parla di fibrillazione atriale parossistica quando la loro durata è inferiore ad una settimana. Siamo in una situazione in cui la malattia degli atrii è ancora lieve, le loro dimensioni sono ancora quasi nella norma e la fibrosi del tessuto è assente o lieve.
Con il passare del tempo la malattia procede, gli atrii si dilatano, vanno incontro a degenerazione fibrotica e la durata degli episodi si fa sempre maggiore: quando è compresa tra una settimana e 12 mesi si parla di fibrillazione atriale persistente. Se si va oltre i 12 mesi la si definisce fibrillazione atriale persistente di lunga durata.
Ovviamente le possibilità di trattare efficacemente questa patologia dipendono dal grado di avanzamento della malattia. Una forma di lunga durata sottende una malattia atriale avanzata e arrivati ad un certo punto le diverse terapie messe in atto non daranno più alcun risultato. Il medico sarà pertanto obbligato a rinunciare ad interrompere la aritmia. Si parla in questo caso di fibrillazione atriale permanente o cronica.
Ogni episodio di fibrillazione produce un aggravamento della situazione elettrica atriale; la fibrillazione genera fibrillazione in un circolo vizioso che, se non interrotto per tempo, rende i trattamenti sempre meno efficaci.
Quali sono le conseguenze della fibrillazione atriale?
I pazienti affetti da fibrillazione atriale vivono meno a lungo e meno in salute di chi non ce l’ha.
I dati di mortalità di molti studi hanno messo in luce un incremento del rischio di morte tra 1,5% e 2% di nei soggetti affetti da fibrillazione atriale rispetto ai controlli. A distanza di dieci anni dall’inizio dello studio Frahmingam era deceduto il 60,1% dei pazienti affetti contro il 30% dei soggetti non affetti.
Anche il rischio di morte improvvisa pare essere aumentato nei soggetti affetti con un rischio di circa 1,8 % rispetto ai soggetti non affetti.
La paralisi meccanica dell’atrio favorisce il ristagni e la coagulazione del sangue al suo interno da cui il rischio di eventi tromboembolici di cui il più temibile è l’ictus cerebrale.
Il rischio di ictus varia da 0,7% fino a 23% a seconda dell’eta’ e della presenza di fattori di rischio concomitanti.
Per la prevenzione dell’ictus cerebrale è necessaria una adeguata terapia anticoagulante la quale ha dimostrato una buona capacità di prevenzione dei fenomeni tromboembolici e una riduzione assoluta del rischio di morte del 1,6%.
Anche in assenza di ictus cerebrale i pazienti affetti da fibrillazione atriale possono andare incontro ad una involuzione delle funzioni cognitive di grado variabile fino alla demenza. Almeno un terzo dei pazienti affetti da fibrillazione atriale presenta lesioni microemboliche alla risonamza magnetica dell’encefalo. Il rischio di demenza è maggiore nei pazienti con esordio della fibrillazione al di sotto dei 67 anni: in età giovanile il flusso cerebrale di sangue risulta maggiormente alterato in corso di fibrillazione atriale e ciò può essere causa di deterioramento cognitivo nel lungo periodo.
Esiste un legame molto stretto tra fibrillazione atriale e scompenso cardiaco. Una attività cardiaca irregolare ed accelerata, con perdita della funzione contrattile atriale rende la funzione cardiaca meno efficiente. Questa situazione può causare una insufficienza cardiaca ex novo oppure aggravare in maniera significativa una condizione pre-esistente.
Oltre ad avere un impatto sulla mortalità e determinare potenziali gravi complicazioni, la fibrillazione atriale provoca un peggioramento della qualità di vita. Gli episodi di batticuore che insorgono all’improvviso spesso impediscono lo svolgimento delle regolari attività quotidiane. In molti casi è necessario accedere in pronto soccorso per ricorrere a cure mediche urgenti specifiche.
Nelle forme di maggiore durata, anche senza arrivare ad uno scompenso cardiaco conclamato, può determinare una riduzione della performance fisica del paziente che subirà dunque una limitazione funzionale più o meno marcata.
Anche le funzioni cognitive ridotte alterano la resa intellettiva dei soggetti affetti.
Nel complesso, dunque, la fibrillazione atriale ha un impatto negativo sulla qualità e sulla aspettativa di vita totale ed in salute.